Mentre scrivo sento risuonare quelle parole riportate al servizio del tg di una donna, prima che sindaco, profondamente turbata per quanto accaduto. Forse alcuni di voi avranno già colto nel segno a quale servizio mi riferisca, al gesto estremo compiuto a Crema da un’altra donna che, per motivi a noi ignoti, ha scelto di portare a termine la sua esistenza in un modo che sembra riecheggiare la pratica di tempi lontani, la morte sul rogo. E i giudizi che la nostra mente può formulare su un simile gesto possono essere i più diversi, da quelli più vicini emotivamente all’autrice-vittima del gesto a quelli più lontani e discriminatori. E altrettanto molteplici possono essere i giudizi formulati dalla nostra mente per la mancanza di soccorso : da quelli in cui ci si limita a dire “succede” a quelli in cui siamo sconvolti di essere arrivati a tanto.
Riconosco che tra questi due estremi se ne collocano tanti altri e al contempo mi rendo conto che l’attività del “filmare” o “riprendere con lo smartphone” sia divenuta un’attività così abitudinaria che, associata a un fenomeno particolare noto come diffusione di responsabilità contribuisce a uno strano “cocktail”, come quello che si è verificato oggi: più aumentano le persone che assistono a un evento drammatico tanto più ognuna di loro si aspetta sia l’altro a intervenire e alla fine nessuno interviene. La responsabilità svanisce, si dilegua e ognuno di noi è pronto ad additare l’altro e a disconoscere la sua parte.
L’attore lascia le sue vesti per indossare quelle di spettatore e, in questo caso, anche quelle di regista forse per automatismo, forse per la popolarità o chissà forse perché. E se il regista disattento guarda lo spettacolo senza riuscire a interrompere la scena che sta girando forse sarebbe utile porsi qualche domanda su chi siamo diventati con gli smartphone, cosa sono loro per noi – strumento o protesi – e dove stiamo andando. Forse soffermarsi può aiutarci a riflettere e comprendere dove vogliamo andare e che possiamo sempre scegliere.